Le Fake News 31 marzo 2021
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Le Fake News 31 marzo 2021
Tema di ricerca svolto dal Gruppo Senior
Google Classroom "My web writing"
Ormai le fake news sono diventate uno degli spauracchi che agita il giornalismo. Infatti, la moltiplicazione delle informazioni in circolazione e dei media attraverso cui giungono a noi rende più difficile il lavoro di selezione e verifica, che da sempre qualifica il lavoro dei giornalisti.
Ed è proprio in quest’abbondanza che si annida il pericolo delle fake news, notizie false che però hanno una patina di verosimiglianza, messe in giro per interesse da fonti disinvolte al fine di procurarsi un facile tornaconto:
per ragioni politiche o culturali, accreditarsi come punto di riferimento irrinunciabile in un determinato campo e acquisire consenso e seguaci; per ragioni economiche, mettere in giro notizie curiose o piccanti che attraggano l’attenzione dei lettori,
Ma le fake news molto spesso circolano semplicemente per destabilizzare un ambiente, evidenziare come sia facile aggirare i controlli della stampa, prendersi gioco di determinati gruppi sociali.
Beninteso, notizie false e tendenziose sono sempre circolate; tuttavia l’immediatezza della comunicazione digitale, che favorisce il rapporto diretto fra fonti e pubblici e, soprattutto, velocizza e intensifica i flussi informativi, produce un sovraccarico informativo in cui è più difficile costruire gerarchie e attribuzioni di rilevanza. Diventa più problematico stabilire cosa è d’interesse pubblico, quali sono le informazioni assolutamente da condividere. Si alza il livello di discrezionalità e con più facilità s’insinuano semplificazioni e deliberate falsità.
Lo scontro fra le piattaforme digitali e le fabbriche di fake news non ha soluzioni di continuità. Non esistono fasce orarie, territori da presidiare, tregue e trincee. Esistono le notizie false, chi le produce, gli algoritmi che cercano di stanarle e interi team che provano a bloccarle sul nascere. Quando si è davanti a una campagna di fake news, spesso c'è lo zampino di autentiche organizzazioni. Società che fanno business sull'informazione: investono quattrini, magari dietro commessa. E in questi casi entrano in campo bot e campagne a pagamento. I primi non sono altro che software in grado di replicare un contenuto migliaia di volte, e vengono molto utilizzati su Twitter. Un tweet retwittato migliaia di volte da account bot (cioè falsi), diventa per forza di cose virale. E spesso riesce a entrare nelle tendenze di quel Paese, amplificando ulteriormente la portata di quel messaggio. Su Facebook, invece, le fabbriche di fake news preferiscono affidarsi alle campagne pubblicitarie. Prendiamo come esempio il Russiagate. Questi sono i numeri forniti da Facebook: il periodo temporale incriminato va dal 2015 al 2017 Più o meno due anni e mezzo durante i quali sono stati almeno 500 gli account collegati a una società russa che hanno investito 100mila dollari in pubblicità ingannevole, dedita ad influenzare le elezioni americane. Le circa tremila inserzioni pubblicitarie acquistate hanno intercettato il newsfeed (cioè sono finiti sulla home di Facebook) di almeno dieci milioni di utenti residenti negli Stati Uniti d'America. Il 44 per cento degli annunci è stato visualizzato prima delle elezioni, mentre il 25 per cento, a causa della non approvazione da parte dell'algoritmo di Facebook, non ha mai raggiunto alcun utente.
Molte inchieste, hanno portato alla luce le azioni di singoli utenti che, dopo aver prodotto una notizia falsa, sono stati capaci di renderla virale, scatenando migliaia di condivisioni. Questi utenti vengono definiti troll, e la loro stella polare e la produzione di news contro l'élite.
Il problema è anche l’urgenza di sapere tutto e subito, senza darsi il tempo di riflettere. Così spesso le agenzie di stampa pubblicano notizie non verificate: perché non c’è tempo e bisogna cavalcare l’onda dei like e delle condivisioni. Al limite, poi, si può sempre smentire tutto dando la colpa ad internet. E questo è un errore, come ci dice sempre Luca Sofri:
"Dare la colpa alla fonte delle notizie false che un giornalista professionista ha scelto di usare, pubblicare, avvalorare è infantile e assurdo: nessun giornalista farebbe una conversazione con sconosciuti o conoscenti al bar, e poi trascriverebbe i loro discorsi come veri e fondati. Nessuno scriverebbe in un articolo che Babbo Natale esiste per averlo sentito dire a casa ai bambini, salvo poi dare la colpa ai bambini. Nessuno scriverebbe in un articolo che il Duce è vivo per averlo letto scritto su un muro, salvo poi dare la colpa al muro. Non solo il muro è irresponsabile, ma il giornalista è doppiamente responsabile: ha superato un esame professionale e viene pagato proprio per distinguersi da uno che scrive sui muri che il Duce è vivo."
Mi ricordo che in una tesi di laurea di una quindicina anni fa, a scienze della comunicazione, un laureando disse che i blog avrebbero sostituito presto il giornalismo. Qualcosa di simile è accaduto ed è vero che spesso le notizie sono incontrollate, ma è altrettanto vero che c’è chi è in grado di informarsi (studiare) e poi di rispondere, smentendo le falsità. Internet permette anche questo, ma occorre saper cercare e saper leggere tra le righe non solo di ciò che accade davanti a noi, ma anche di come ci viene raccontato.
Se avete letto i giornaliun po' di tempo fa, sapete probabilmente che a febbraio l’Egitto ha invaso la Libia, che il governo Renzi vuole depenalizzare il maltrattamento degli animali e che la corruzione costa all’Italia ben sessanta miliardi di euro ogni anno. Peccato che niente di tutto questo sia vero. Così come non è vero che i tifosi del Feyenoord abbiano stampato delle magliette con scritto “Vi accoltelliamo” rivolto ai romanisti, che nel video di un’ecografia pubblicato online si veda un feto battere le mani a tempo di musica, che secondo un’equazione matematica il 19 gennaio sia il giorno più triste dell’anno e che François Hollande abbia operato in Francia un gigantesco taglio ai costi della politica.
Perché le fake news?
Gli errori capitano a tutti, ma la diffusione di notizie imprecise o apertamente false sui media ormai è un fenomeno quotidiano: la più grande patologia del nostro tempo tra quelle di cui i giornali non parlano mai. Le ragioni di questo fenomeno si possono intuire con facilità, e sono discusse quotidianamente anche tra gli addetti ai lavori a mensa o durante i vari festival del giornalismo: la verifica delle fonti superficiale se non inesistente, la ricerca di visibilità e lettori sparandola grossa, l’interesse smodato del pubblico per notizie assurde, morbose o in grado di suscitare reazioni emotive, la necessità di fare i conti con sempre maggiori richieste e minori risorse in tempi di tagli e crisi del settore.
Questa è la situazione odierna. Ma ci sono dei fatti che sono avvolti nell'ombra e sui quali c’è una grande disinformazione, voluta, studiata. Per la prima volta furono le spie, probabilmente, a doversi costruire una verità di copertura alla loro identità. Di conseguenza possiamo comprendere quanto sia complesso muoversi nel labirinto delle verità e dei segreti di Stato. Quando è necessario che l’opinione pubblica taccia o non capisca o non sappia, lo Stato deve mettere in scena la sua verità artefatta.
Proprio recentemente è uscito il film su Tommaso Buscetta, Il traditore, il primo grande boss pentito della mafia. Disse a Falcone una frase che suona circa così: «Posso dirvi solo queste cose [rapporti tra Stato e Mafia, n.d.r.]. Per il resto non siete ancora pronti». È una frase spaventosa che ci fa capire quale groviglio immenso sia la verità e come nelle pieghe del mondo si annidino segreti che toglierebbero il sonno a chiunque.
Come smontare una fake news
(@ Osservatorio Permanente Giovani )
Per questo esercizio è necessario un elemento di partenza: una presunta “bufala”, individuata a vostro piacimento tra gli svariati esempi che potete incrociare ogni giorno visitando i vostri account social, aprendo la messaggistica di WhatsApp o altri servizi affini, e perfino - perché gli errori possono commetterli tutti - sulle homepage di alcuni media ufficiali.
Una volta selezionata la fake news su cui avete deciso di lavorare, vi proponiamo di seguire un percorso in alcune tappe che vi consentirà di produrre un’analisi finale della notizia, dimostrandone - con dati, fatti e argomenti a sostegno della vostra tesi - la falsità o inaccuratezza. È il processo seguito dai “verificatori delle notizie”, cioè i fact-checker, che lavorino all'interno di una redazione o in un team dedicato allo sbugiardamento delle bufale virtuali.
L’obiettivo è quello di imparare a padroneggiare gli strumenti di base del fact-checking, per rafforzare lo spirito critico con cui scegliamo e valutiamo le nostre fonti di informazione. Ecco, quindi, i passi da seguire per arrivare al vostro elaborato.
1. Gli autori
La prima verifica da fare è capire chi sia l’autore del testo, del post o del video in questione. Nel caso di un sito internet, verificare l’Url, cioè l’indirizzo: potrebbe fare il verso - modificandolo - al nome di una testata qualificata, traendo così in inganno il lettore disattento. Oppure potrebbe trattarsi di un sito presente all’interno delle black list stilate da fact-checker e debunker riconosciuti (in Italia, ad esempio, è piuttosto aggiornata la “lista nera” di Butac). Il secondo passo da fare riguarda la paternità del sito stesso: i servizi gratuiti “whois" consentono di reperire informazioni fondamentali sulla persona cui il sito è intestato, ed è bene non dimenticare mai di dare un’occhiata alla sezione “chi siamo” (se mancano indicazioni sui referenti, siamo di fronte a un indizio abbastanza chiaro di bufala o comunque di scarsa affidabilità). È anche utile capire da quanto tempo sia attivo il sito o la pagina di riferimento, per capire se sia stato creato in modo strumentale per diffondere disinformazione relativa a un evento di attualità ben preciso.
Se ci troviamo di fronte a un tweet o a un post su Facebook, è utile controllare - nel caso di personalità pubbliche, giornalisti, media, grandi aziende e simili - se l’account è stato verificato, vale a dire se compare la classica “spunta" con bollino blu o grigio che ne comprova l’autenticità. Questo può essere utile nel caso in cui la presunta “bufala" riguardi una celebrity o un personaggio noto e venga diffusa, ad esempio, da un sito che si spaccia come ufficiale (ma non lo è).
2. Dati e fonti
Se un articolo (o un post, o un qualsiasi frammento di notizia) fornisce dati, cifre e in generale contenuti fattuali intorno a cui si costruisce un’informazione - al netto, dunque, delle opinioni non verificabili - dovrebbe essere cura dell’autore, soprattutto se giornalista, fornire a chi legge i riferimenti necessari per verificarne l’accuratezza. Se siamo di fronte a un pezzo che riporta, ad esempio, statistiche sull'immigrazione in Europa, uno dei primi segnali di serietà (e uno dei primi controlli di affidabilità) è la presenza di riferimenti precisi alle fonti. Nel caso di un articolo online, sarebbe buona norma fornire anche i link per una verifica diretta dei dati stessi.
In molti casi, le “bufale" o fake news utilizzano dati e numeri in maniera truffaldina, inventandoli di sana pianta, decontestualizzandoli, distorcendoli ad uso e consumo della storia “alternativa" che vogliono raccontare. Ad esempio, i dati (veri) sull'ultimo sbarco sulle coste italiane possono essere inseriti in statistiche completamente artefatte sulla dimensione del fenomeno migratorio, per dare l’impressione di un’emergenza inesistente o comunque esagerata.
È necessario, dunque, analizzare gli elementi di una notizia tentando fin dove è possibile di risalire alle fonti primarie dell’informazione su cui si fonda. I report cui fa riferimento vanno recuperati, analizzati e letti, se necessario con l’aiuto di uno specialista dell’argomento, in modo da verificare se la lettura che ne viene fornita sia corretta. A volte è sufficiente un lavoro di indagine online, sui siti di centri di ricerca, istituzioni, ong. In alcuni casi, una mail o una telefonata possono portarci al chiarimento definitivo.
3. Le immagini
Nella società dell’immagine, una notizia è destinata a passare quasi inosservata se non viene corredata da una foto o da un video. Di conseguenza, uno degli stratagemmi più diffusi dai “bufalari” è quella di utilizzare uno scatto particolarmente forte o coinvolgente per abbassare le difese anti-fake di chi guarda o legge. Per ottenere questo scopo, molte volte le immagini vengono utilizzate in modo artefatto, arbitrario e forzoso. Si va dal riutilizzo decontestualizzato, al ripescaggio di fotografie realizzate sul medesimo argomento in eventi passati o lontani migliaia di chilometri, alle modifiche ed alterazioni dell’immagine stessa.
È sempre utile, in casi sospetti, fare una serie di verifiche sugli elementi visuali di accompagnamento. La ricerca inversa su Google Images può aiutarci a smascherare i casi più grossolani, verificando dove e in che contesto la stessa immagine (o un’immagine affine) sia già stata utilizzata, e se il suo utilizzo errato sia già stato smascherato da altri fact-checkers. Un altro sito di riferimento, che fornisce strumenti più approfonditi (ad esempio, la possibilità di ordinare cronologicamente le ricorrenze di un’immagine) è TinEye. Con Fotoforensics, dopo un po’ di pratica, è possibile imparare ad analizzare le modifiche subite da un’immagine e le alterazioni dell’originale.
4. Il contesto
Una fake news si costruisce anche decontestualizzando, come abbiamo visto, un’informazione di per sé veritiera. È quindi fondamentale saper leggere una notizia inserendola nel suo contesto di riferimento. Se i dati sono mescolati alle opinioni, è necessario operare una distinzione (destrutturando il testo o le immagini, e categorizzandone gli elementi) per valutare se non sia stata operata una forzatura nel trasmettere la notizia, facendo passare come obiettivi elementi che non lo sono. La titolazione, il montaggio, gli elementi di contorno (dalle didascalie alle immagini - di cui abbiamo già parlato - alla collocazione nello schema della pagina e alla posizione in home) fanno parte di questa analisi e sono elementi da non trascurare nella nostra valutazione.
È sempre bene ricordare che molta disinformazione o misinformazione non cade necessariamente nella categoria “notizie false”, bensì in una zona grigia dove la verità e la realtà si mescolano alla forzatura e alla strumentalizzazione. La categorizzazione elaborata da Claire Wardle, direttrice della ricerca di First Draft, è uno strumento utile per valutare la notizia sia dal punto di vista della tipologia di contenuti, che della motivazione con cui sono stati prodotti e diffusi. Nell’elaborato finale suggeriamo quindi di farvi riferimento per elaborare una valutazione conclusiva della notizia.
https://m.youtube.com/watch?v=WZZtLG6VfT0&feature=emb_logo
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